Di
fronte all’inadeguatezza delle misure tradizionali è necessario puntare tutto
su ricerca, innovazione e libertà di impresa: basterebbero due Apple e una Microsoft per risolvere il problema del debito pubblico.
di Achille Nobiloni
Domanda n. 1: se il debito pubblico italiano cresce ormai al ritmo annuo di circa 100 miliardi di euro e 5 o 6 punti di incidenza percentuale sul Pil, a cosa possono servire poche decine di miliardi derivanti dalla dismissione dei cosiddetti gioielli di famiglia?
Domanda
n. 2: in uno scenario di prolungata crisi mondiale e di fronte alla prevedibile
concorrenza delle nuove economie in via di rapido sviluppo, un Paese privo di
grandi risorse naturali e ormai impoverito come l’Italia quali possibilità ha
di rimettersi in piedi e ricominciare a crescere al ritmo degli altri Paesi
europei?
Domanda
n. 3: a cosa dovrebbe puntare il Governo per risanare l’economia nazionale e
tentare di risollevare le sorti dell’Italia?
Una
risposta alquanto inquietante alla prima domanda viene dall’articolo di Paolo
Cirino Pomicino sul Foglio di oggi.
Dopo aver ricordato la massiccia campagna di dismissioni avviata negli anni ’90
(lui la chiama “stagione di spoliazione del Paese”) che riguardò praticamente
tutto il sistema bancario nazionale e grandissima parte dell’industria
pubblica, l’ex-ministro democristiano scrive: “Mentre avvenivano le vendite descritte per oltre 150 miliardi di euro
il nostro debito pubblico è aumentato di oltre 1.200 miliardi di euro (da 839
miliardi del ’92 a oltre 2.000 miliardi attuali). Un disastro economico,
sociale e morale nascosto sotto il manto della lotta al debito che continua
imperterrito ad aumentare con la guida della nostra economia da vent’anni messa
nelle mani di autorevoli tecnici”. E aggiunge: “Da qualche settimana risentiamo con orrore lo stesso ritornello che
sentimmo nel lontano 1994, quello della lotta al debito pubblico con la vendita
di aziende pubbliche. Un ritornello che ha trasformato in venti anni l’Italia
in una colonia di rango del capitalismo europeo e internazionale e che sta da
qualche anno alla canna del gas sul piano finanziario, economico e
occupazionale”.
Insomma
un quadruccio niente male, all’interno del quale una manciata di miliardi
derivante dalla svendita di quel che resta di qualche partecipazione pubblica
di rilievo più gli ipotetici proventi di qualche vendita immobiliare potrebbero
servire al massimo a dare una limatina a qualche tassa o a evitarne di nuove ma
non certo a risanare l’economia e avviare la crescita.
E
allora quali sono le possibilità di rinascita di quella che nel 1987 Giuseppe
Turani chiamava La Locomotiva Italia
predicendo per essa, di lì a pochi anni, il sorpasso della Germania e il posto
più alto sul podio europeo?
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UN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI DI SANTI DI PENSATORI DI SCIENZIATI DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI |
Indebitata
com’è, priva di risorse naturali se non le bellezze paesaggistiche e il
patrimonio artistico, destabilizzata politicamente, nelle posizioni basse delle
graduatorie mondiali su qualità della vita, efficienza dei servizi,
funzionamento della Giustizia, lotta alla corruzione, ecc. l’unica strada forse
percorribile per l’Italia è puntare il tutto per tutto sulla ricerca e
l’innovazione dando il massimo sostegno possibile all’estro e l’inventiva che
hanno contraddistinto gli italiani in tutte le arti e le scienze nel corso dei
secoli.
Detta
così può sembrare un’uscita patriottica, piena di retorica, ma provate a
immaginare una Scuola, un’Università e dei centri di ricerca pubblici,
moderni, bene attrezzati, in grado di trattenere e incentivare i “cervelli”
italiani invece di spingerli a fuggire all’estero: basterebbero due Apple e una Microsoft per risolvere il problema del debito pubblico, società
nate in un garage o fondate da studenti teenager che ne corso degli anni hanno
toccato capitalizzazioni superiori a 600 miliardi di dollari l'una!
Sappiamo
tutti che le prime necessità dell’Italia sarebbero quelle di riavviare la
crescita e l’occupazione, razionalizzare la spesa e ridurre il debito. Sono
anni che, almeno a parole, i governi che si sono susseguiti hanno fatto
promesse e tentativi in tal senso.
Però sappiamo anche che mentre noi dicevamo
di volerci provare (purtroppo senza riuscirci) il mondo intorno a noi è
cambiato, il divario tra noi e altri Paesi e aumentato e nuove economie si sono
affacciate all’orizzonte e mentre noi siamo diventati i più prolifici e i primi
della classe in tema di burocrazia, leggi e cavilli, gli altri sono andati
avanti o sono retrocessi molto meno di noi.
A
questo punto non ha più senso ostinarsi a tentare di recuperare terreno con i
vecchi mezzi e le vecchie modalità: il distacco è troppo ampio e troppo
difficilmente colmabile con le misure tradizionali fin qui utilizzate.
L’ unica
strada possibile è azzerare e ridisegnare tutto.
Ricerca,
innovazione, inventiva, maggior libertà di impresa devono diventare le nostre
risorse nazionali con le quali supplire alla carenza di quelle naturali. E’
quindi su di esse che il Governo dovrebbe concentrare il suo impegno, piuttosto
che nei soliti incentivi e agevolazioni a pioggia che servono solo a tacitare
temporaneamente settori e situazioni particolari assorbendo inutilmente risorse
preziose, indispensabili per sostenere le nostre ultime possibilità di
rinascita.
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