giovedì 10 ottobre 2013

Privatizzazioni, investimenti esteri e spesa pubblica tra equivoci e luoghi comuni

di Achille Nobiloni

In Italia molti temi di grande interesse vengono spesso affrontati muovendosi tra equivoci e luoghi comuni. Qualche esempio? Presto detto: privatizzazioni, investimenti esteri, spesa pubblica, tanto per citarne solo alcuni.
Prendiamo le privatizzazioni. ”Serviranno a ridurre il debito pubblico e a dare una scossa all’economia italiana” dicono alcuni. Ma come? Quando? In che misura?
C’è chi, come l’Istituto Bruno Leoni, ha fatto una stima di quanto potrebbero fruttare le privatizzazioni e quanto potrebbero far risparmiare in interessi sul debito pubblico. La tabella qui sotto, pubblicata in un’inchiesta su BusinessPeople, mostra come ci si aspetti di ricavare 136 miliardi di euro dalla vendita di immobili e 135 miliardi dalla vendita di partecipazioni azionarie, per un totale di 271 miliardi destinati all’abbattimento del debito pubblico (che, sia detto per inciso, ammonta ormai a circa 2.080 miliardi) con un risparmio in interessi pari a 11 miliardi l’anno.

Fonte: Istituto Bruno Leoni (dicembre 2012) su BusinessPeople

Bene! Ma in quanto tempo si riuscirà a vendere il patrimonio immobiliare dismettibile? E’ verosimile poterlo mettere sul mercato tutto insieme e riuscire a venderlo nell’arco di qualche mese? O non ci vorranno forse degli anni? Molti anni! E se davvero dovessero volerci anni quale sarebbe l’impatto effettivo sulla riduzione del debito pubblico e quale sarebbe la scossa effettiva che si darebbe all’economia italiana?
E la vendita delle residue partecipazioni azionarie pubbliche? Secondo le stime dell’IBL si dovrebbero ricavare: 11,3 miliardi da Enel; 24,8 da Eni; 4,3 da Snam; 0,8 da ST Microelectronics; 2,2 da Terna e 1 tondo tondo da Finmeccanica ma anche qui ci sarebbe qualche considerazione da fare. Prendiamo per esempio la partecipazione di maggior valore, che è quella in Eni: i 24,8 miliardi ricavabili dalla vendita del 30,3% della società ancora in mano pubblica equivarrebbero a una riduzione del debito pubblico pari all’1,2%, con un risparmio in interessi di 1 miliardo l’anno, che però è ben meno di quello che la società paga come dividendo all’azionista pubblico. Quale sarebbe allora il vantaggio delle privatizzazioni? Se avessero un effetto risolutivo sul livello del debito pubblico o su quello della spesa per interessi capirei pure ma viste le cifre qui sopra non sembra proprio essere questo il caso.
E gli investimenti esteri? Sarò io che non capisco niente ma anche qui mi sembra esserci  qualche differenza tra “investire in Italia” e “comprarsi un’azienda italiana”. Nella stessa inchiesta su BusinessPeople viene intervistato l’economista Carlo Stagnaro al quale, sostenitore convinto delle privatizzazioni (contrario invece il Prof. Giulio Sapelli e possibilista l’On. Paolo Cirino Pomicino), viene posta la seguente domanda: “C’è chi paventa il rischio di un nuovo arrembaggio straniero su quel poco che resta della grande industria italiana. Cosa ne pensa?”. Questa la risposta di Stagnaro: “Direi proprio che questa è davvero una posizione singolare. Ci si lamenta sempre che gli stranieri investono pochissimo nel nostro Paese e poi, non appena si ha il sentore dell’acquisizione di un’azienda italiana da parte di un gruppo estero, ecco che sono tutti pronti a fare le barricate per difendere l’industria nazionale”.
Ora - l’ho già detto e lo ripeto - sarò io che non capisco niente ma per conto mio c’è differenza tra “investire in Italia”, cioè qualcosa simile al venire qui, acquistare un terreno, costruirci sopra una fabbrica, assumere gente e cominciare a produrre qualcosa, e il “comprarsi - puramente e semplicemente - un’azienda italiana” magari svendendone subito qualche pezzo e facendo un po’ di licenziamenti! Nel primo caso, sempre a parer mio, lo straniero che investe in Italia mostra di credere nel nostro Paese, vi insedia una succursale, uno stabilimento, assume gente, crea ricchezza per se e per chi lavora per lui. Nel secondo caso chi rileva un’azienda italiana molte volte la inserisce e integra nel proprio circuito produttivo, realizza economie di scala, razionalizza, sfrutta sinergie, ottimizza e acquisisce ricchezza che poi reinveste dove e come più gli conviene.
Io quindi non mi scandalizzo tanto se di fronte a qualche acquisizione straniera, specialmente se in settori importanti quali le telecomunicazioni e il trasporto aereo (figuriamoci in altri più strategici come ad es. la difesa), dovesse sorgere qualche piccola barricata a difesa dell’industria nazionale.
E che dire della spesa pubblica? E’ un’altra specie di tabù di fronte al quale ci si sente impotenti e se qualcosa si fa lo si fa tagliando sulla scuola, la sanità, la ricerca, le pensioni, ecc. Ora darò forse sfogo a un po’ di mio populismo represso ma da quando si è cominciato a parlare di spending review mi sembra davvero di averne sentite e lette di tutti i colori: “spesa aggredibile” di 100 miliardi presentata sui giornali e nei TG come “tagli” per 100 miliardi, salvo poi ridimensionare ingloriosamente il tutto e ridursi a far tornare Carlo Cottarelli dal Fondo Monetario Internazionale con l’incarico di tagliare dai 4 ai 5 miliardi di spesa pubblica nel 2014: si dai 4 ai 5 miliardi su più di 800!!
Ora mi chiedo: ma possibile che quando si parla di tagli di spesa pubblica si parli sempre e solo di evitare i tagli lineari o del rischio di incidere ancor più in profondità sui già scarni bilanci della sanità, della scuola o della ricerca anziché puntare decisamente sull’efficienza in tutti i campi?
Tanto per parlare di sanità, già nel settembre del 2007 nel “Libro verde sulla spesa pubblica” realizzato a cura del ministero dell’Economia a Finanze, si leggeva che il costo medio di un giorno di degenza in un ospedale italiano era, sei anni fa, di 674 euro, con un minimo di 593 in Liguria e un massimo di 932 in Piemonte. Ora non ho idea di quanto costi un giorno di degenza in Francia o in Germania ma so che spesso in Italia quando si entra in un ospedale (ne abbiamo anche noi di ottimi) si sa quando si entra ma non si sa quando si esce, con una spesa evidentemente molto elevata.
E sempre per rimanere in tema di efficienza e qualità dei servizi, a costo di passare per fissato torno a chiedere ancora una volta: ma perché se io costruisco un muretto nel mio giardino mi costa mille euro e se lo costruisce il Comune o la Provincia in un parco pubblico gliene costa tremila o cinquemila? Perché le strade italiane sono in gran parte vecchie, strette e mal manutenute?
E per parlare infine di sprechi che dire di tutte quelle opere pubbliche incompiute o finite ma mai utilizzate e già fatiscenti, documentate in tanti servizi di Striscia la Notizia?
Ieri mattina andando per la prima volta a Tor Vergata sono passato dietro la grande Vela di Calatrava, vanto della mai ultimata Città dello Sport, e mi sono fermato a fare una fotografia. Poi, la sera a casa, ho cercato in rete e ho letto che è costata 200 milioni di euro!

La Vela di Calatrava a Tor Vergata (Roma)

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