martedì 17 settembre 2013

Ma quali sono le vere "pensioni d'oro"?

di Achille Nobiloni
 
In Italia le pensioni pagate dall’INPS sono 16 milioni e mezzo per un totale di 270 miliardi e mezzo di euro all’anno con un importo medio mensile di 1.258 euro lordi.
Nei talk-show e in rete si continuano a sentire e leggere le cose più strane a proposito delle cosiddette “pensioni d’oro”. La più inverosimile e sballata è che vi siano “30.000 pensioni d’oro da 90mila euro al mese da 34mld l’anno”; la più pacata è che “dobbiamo pagare ogni anno 13 miliardi di euro per le pensioni d’oro”.
A questo punto sarebbe bene e utile per tutti mettersi d’accordo su quali siano effettivamente le “pensioni d’oro” e parlare, una volta per sempre, tutti la stessa lingua.
Ebbene, prendendo i dati ufficiali INPS viene fuori che le pensioni superiori a 5.290 euro lordi mensili (circa 3.500 netti) sono in totale 136.299 e assorbono 12 miliardi di euro l’anno. Di questi 12 miliardi, 11 servono però a pagare le pensioni comprese tra i 5.290 e i 10.100 euro mensili lordi, che francamente si fa una certa fatica a considerare “pensioni d’oro”. Certamente si tratta di pensioni di tutto rispetto ma il loro importo è lordo e comunque commisurato, sia pure col sistema retributivo e non contributivo, al livello degli stipendi di tutta una vita.
 


Ma anche a volerle considerare “d’oro” e volerle quindi tagliare, a che livello andrebbero tagliate? Fino a 3.500 euro lordi al mese? E con quale criterio di equità rispetto a tutti coloro che già sono su quel livello?
Mi spiego meglio: se ci sono due persone che hanno lavorato entrambe per una vita prendendo come stipendio l’una il doppio dell’altra e percepiscono oggi, una, una pensione di 3.500 euro lordi al mese e l’altra una pensione di 6.000 euro lordi sarebbe equo ridurre la pensione da 6.000 euro a 3.500 euro come l’altra? In base alla considerazione che al di sopra dei 3.500 euro mensili lordi tutte le pensioni debbano essere considerate “d’oro” e vadano quindi tutte plafonate? Credo che un livellamento del genere sarebbe davvero difficile da giustificare ... anche se ci trovassimo a Livorno nel 1921!
Rimangono le pensioni di importo mensile lordo superiore ai 10.100 euro, per le quali si può ragionevolmente cominciare a parlare di “pensioni d’oro”, ma sono solo9.008 e assorbono poco più di un miliardo e mezzo di euro l’anno: ben altra cosa rispetto alle “30.000 pensioni d’oro da 90mila euro al mese da 34mld l’anno” sparate su twitter. E anche qui, a ben vedere, quelle comprese fra 10.100 e 15.390 euro lordi mensili sono 7.654 per un totale di 1,175 miliardi di euro l’anno mentre le pensioni superiori a 15.390 euro lordi mensili, sono in tutto 1.354 per un totale di 367 milioni 185 mila euro l’anno.
Insomma, l’importante è prendere le misure e mettersi d’accordo su parametri e definizioni, anche perché in Italia ormai se si guadagna più di 100.000 euro l’anno si è un “super-ricco”, se si possiedono tre appartamenti si è un capitalista e una pensione di più di 3.500 euro lordi al mese è considerata “d’oro”, il che non è certo la rappresentazione corretta di quella che aspira ad essere una delle prime dieci economie mondiali.

giovedì 12 settembre 2013

Ricerca, innovazione e inventiva: la nostra ultima possibilità

Di fronte all’inadeguatezza delle misure tradizionali è necessario puntare tutto su ricerca, innovazione e libertà di impresa: basterebbero due Apple e una Microsoft per risolvere il problema del debito pubblico.


di Achille Nobiloni

Domanda n. 1: se il debito pubblico italiano cresce ormai al ritmo annuo di circa 100 miliardi di euro e 5 o 6 punti di incidenza percentuale sul Pil, a cosa possono servire poche decine di miliardi derivanti dalla dismissione dei cosiddetti gioielli di famiglia?
Domanda n. 2: in uno scenario di prolungata crisi mondiale e di fronte alla prevedibile concorrenza delle nuove economie in via di rapido sviluppo, un Paese privo di grandi risorse naturali e ormai impoverito come l’Italia quali possibilità ha di rimettersi in piedi e ricominciare a crescere al ritmo degli altri Paesi europei?
Domanda n. 3: a cosa dovrebbe puntare il Governo per risanare l’economia nazionale e tentare di risollevare le sorti dell’Italia?
Una risposta alquanto inquietante alla prima domanda viene dall’articolo di Paolo Cirino Pomicino sul Foglio di oggi. Dopo aver ricordato la massiccia campagna di dismissioni avviata negli anni ’90 (lui la chiama “stagione di spoliazione del Paese”) che riguardò praticamente tutto il sistema bancario nazionale e grandissima parte dell’industria pubblica, l’ex-ministro democristiano scrive: “Mentre avvenivano le vendite descritte per oltre 150 miliardi di euro il nostro debito pubblico è aumentato di oltre 1.200 miliardi di euro (da 839 miliardi del ’92 a oltre 2.000 miliardi attuali). Un disastro economico, sociale e morale nascosto sotto il manto della lotta al debito che continua imperterrito ad aumentare con la guida della nostra economia da vent’anni messa nelle mani di autorevoli tecnici”. E aggiunge: “Da qualche settimana risentiamo con orrore lo stesso ritornello che sentimmo nel lontano 1994, quello della lotta al debito pubblico con la vendita di aziende pubbliche. Un ritornello che ha trasformato in venti anni l’Italia in una colonia di rango del capitalismo europeo e internazionale e che sta da qualche anno alla canna del gas sul piano finanziario, economico e occupazionale”.
Insomma un quadruccio niente male, all’interno del quale una manciata di miliardi derivante dalla svendita di quel che resta di qualche partecipazione pubblica di rilievo più gli ipotetici proventi di qualche vendita immobiliare potrebbero servire al massimo a dare una limatina a qualche tassa o a evitarne di nuove ma non certo a risanare l’economia e avviare la crescita.
E allora quali sono le possibilità di rinascita di quella che nel 1987 Giuseppe Turani chiamava La Locomotiva Italia predicendo per essa, di lì a pochi anni, il sorpasso della Germania e il posto più alto sul podio europeo?
UN POPOLO DI POETI DI ARTISTI DI EROI DI SANTI DI PENSATORI
DI SCIENZIATI DI NAVIGATORI DI TRASMIGRATORI
Indebitata com’è, priva di risorse naturali se non le bellezze paesaggistiche e il patrimonio artistico, destabilizzata politicamente, nelle posizioni basse delle graduatorie mondiali su qualità della vita, efficienza dei servizi, funzionamento della Giustizia, lotta alla corruzione, ecc. l’unica strada forse percorribile per l’Italia è puntare il tutto per tutto sulla ricerca e l’innovazione dando il massimo sostegno possibile all’estro e l’inventiva che hanno contraddistinto gli italiani in tutte le arti e le scienze nel corso dei secoli.
Detta così può sembrare un’uscita patriottica, piena di retorica, ma provate a immaginare una Scuola, un’Università e dei centri di ricerca pubblici, moderni, bene attrezzati, in grado di trattenere e incentivare i “cervelli” italiani invece di spingerli a fuggire all’estero: basterebbero due Apple e una Microsoft per risolvere il problema del debito pubblico, società nate in un garage o fondate da studenti teenager che ne corso degli anni hanno toccato capitalizzazioni superiori a 600 miliardi di dollari l'una!
Sappiamo tutti che le prime necessità dell’Italia sarebbero quelle di riavviare la crescita e l’occupazione, razionalizzare la spesa e ridurre il debito. Sono anni che, almeno a parole, i governi che si sono susseguiti hanno fatto promesse e tentativi in tal senso.
Però sappiamo anche che mentre noi dicevamo di volerci provare (purtroppo senza riuscirci) il mondo intorno a noi è cambiato, il divario tra noi e altri Paesi e aumentato e nuove economie si sono affacciate all’orizzonte e mentre noi siamo diventati i più prolifici e i primi della classe in tema di burocrazia, leggi e cavilli, gli altri sono andati avanti o sono retrocessi molto meno di noi.
A questo punto non ha più senso ostinarsi a tentare di recuperare terreno con i vecchi mezzi e le vecchie modalità: il distacco è troppo ampio e troppo difficilmente colmabile con le misure tradizionali fin qui utilizzate.
L’ unica strada possibile è azzerare e ridisegnare tutto.
Ricerca, innovazione, inventiva, maggior libertà di impresa devono diventare le nostre risorse nazionali con le quali supplire alla carenza di quelle naturali. E’ quindi su di esse che il Governo dovrebbe concentrare il suo impegno, piuttosto che nei soliti incentivi e agevolazioni a pioggia che servono solo a tacitare temporaneamente settori e situazioni particolari assorbendo inutilmente risorse preziose, indispensabili per sostenere le nostre ultime possibilità di rinascita.

mercoledì 11 settembre 2013

Il documento Confindustria/sindacati: molte richieste, pochi suggerimenti, nessun impegno

di Achille Nobiloni
 
A leggerlo bene, il documento firmato da Confindustria e sindacati il 2 settembre scorso a Genova somiglia più a una diagnosi che a una terapia. L’elencazione puntuale dei problemi che affliggono il settore industriale sembra infatti far premio sull’indicazione delle possibili soluzioni, forse un po’ generica e non particolarmente approfondita. Un’altra caratteristica del documento è quella di apparire piuttosto di parte: cioè di mirare dritto ai problemi di settore quasi senza considerare altro.
E’ vero che “il Governo ha più volte dichiarato l’intenzione di uscire dalla crisi puntando sul ruolo dell’industria e sul lavoro” ma è anche vero che la gravità del momento è tale da richiedere un azzeramento e riprogettazione di tante situazioni da rendere poco verosimile la possibilità di concentrarsi su un solo tema a discapito di tutti gli altri.
Inoltre le tre cartelle e mezzo firmate da Confindustria e sindacati contengono molte richieste di “sostegno”, “agevolazioni” e “incentivazioni” ma volendo essere un contributo al rilancio dell’economia nazionale in un momento in cui ognuno dovrebbe essere pronto a fare la sua parte, sarebbe stato lecito aspettarsi di trovarci dentro qualcosa di quello che industria e sindacati sono pronti a fare a patto che il governo risolva i problemi da loro indicati.
Per il momento Confindustria e sindacati dicono di aspettarsi “iniziative governative sostanziali, coerenti con le intenzioni più volte dichiarate e utili a rimettere al centro la scommessa della crescita”. Fisco, efficienza della Pubblica Amministrazione e razionalizzazione della spesa pubblica sono le priorità “che andranno declinate attraverso un confronto permanente con le forze sociali, con al centro delle politiche economiche il tema della crescita e dello sviluppo industriale per rilanciare l’occupazione e ridare fiducia al Paese in un quadro di accordo sulle scelte strategiche di medio-lungo periodo”.
E così mentre la diagnosi era già abbastanza nota, gran parte della terapia andrà meglio definita nel tempo attraverso un “confronto permanente con le forze sociali”. Si tratta di una modalità che per quanto riguarda la definizione di adeguate politiche industriali prevede la istituzione di “una cabina di regia nazionale sulla crisi d’impresa che preveda la partecipazione del Governo, di tutte le forze sociali e degli altri soggetti coinvolti (principalmente il sistema delle banche e l’amministrazione fiscale) con il compito di individuare strumenti e soluzioni adeguate alla drammaticità della situazione”. Insomma un po’ “campa cavallo che l’erba cresce”, che non è esattamente l’indicazione di cui ha bisogno in questo momento quello che aspira a essere un Governo di svolta intento a rilanciare urgentemente l’economia italiana.
Nel documento non mancano comunque spunti concreti a fronte di tante richieste e il suo valore principale è senza dubbio quello di essere un documento unitario, di Confindustria e sindacati. Nulla però vi si dice, e nemmeno vi si fa cenno, su quanti e quali investimenti e assunzioni, in quali settori o aree geografiche, ecc. le industrie sarebbero pronte a mettere progressivamente in campo se e quando il Governo riuscisse a risolvere il problema 1), il problema 2), il problema 3) ecc. né si dice quali concessioni i sindacati sarebbero pronti a fare in termini di flessibilità, retribuzioni, previdenza, ecc. mano a mano che il Governo rimuovesse ostacoli o desse nuove garanzie.


Dal sito web di Confindustria

I contenuti del documento
- Fisco
La prima richiesta è quella di “un sistema fiscale efficiente, semplice, trasparente e certo, con poche e stabili scadenze, non ostile all’attività di impresa e alla creazione di lavoro e che non scoraggi le scelte degli investitori”. Di certo non si tratta di un’impresa facile per un Paese che in materia fiscale è abituato a procedere a tentoni, senza una strategia e mettendo una “toppa” dopo l’altra ma in un modo o nell’altro una riforma fiscale a 360° andrà pur iniziata.
In particolare Confindustria e sindacati chiedono: la riduzione del carico fiscale su lavoro e imprese; la riduzione del prelievo sui redditi da lavoro; la eliminazione della componente lavoro dalla base imponibile IRAP; il ripensamento della tassazione dei beni immobili dell’impresa strumentali all’attività produttiva (il Comune di Termoli ha avuto il via libera della commissione regionale del Molise per riscuotere 9 milioni di imposizione sulle piattaforme petrolifere Edison); l’adozione definitiva delle attuali misure sperimentali di detassazione e decontribuzione per l’incremento della produttività del lavoro; la lotta all’evasione fiscale e l’impiego della leva fiscale per il rilancio degli investimenti produttivi.
- Politiche industriali
Oltre alla richiesta della “cabina di regia” nel documento si chiedono: il rafforzamento degli investimenti nell’innovazione; lo sviluppo della “green economy”; la creazione di una nuova finanza pubblica per lo sviluppo; la riduzione del costo dell’energia.
Gli strumenti dovrebbero essere: per l’innovazione, un’agevolazione fiscale stabile e automatica per gli investimenti in ricerca e sviluppo, una strategia nazionale coerente con il progetto comunitario Horizon 2020, una garanzia pubblica per favorire il finanziamento di grandi progetti di innovazione industriale realizzati da filiere e reti di imprese, la rapida attuazione dell’Agenda digitale italiana; per la green economy,  un piano strutturale di sostegno all’efficienza energetica e allo sviluppo delle rinnovabili, un piano nazionale di intervento sulle bonifiche dei siti di interesse nazionale, interventi per il consolidamento e lo sviluppo delle filiere produttive collegate al recupero e al riciclo di materie prime da rifiuti; per la finanza per lo sviluppo, rafforzamento del meccanismo di detassazione degli utili reinvestiti a partire dall’ACE, rafforzamento di meccanismo di accesso al credito, nuovo fondo per la ristrutturazione industriale con la partecipazione della CDP e di altre istituzioni finanziarie per la realizzazione di interventi temporanei nel capitale di rischio di imprese in difficoltà ma con potenzialità di sviluppo; per la riduzione del costo dell’energia, sviluppo delle infrastrutture energetiche e relativa razionalizzazione degli iter autorizzativi in un’ottica nazionale su standard europei, riduzione delle componenti parafiscali delle bollette, consolidamento strutturale della convergenza fra i prezzi del gas italiani e internazionali attraverso lo sbottigliamento delle principali infrastrutture di interconnessione, revisione delle modalità di funzionamento del mercato elettrico coordinando produzione da fonti rinnovabili e termiche convenzionali.
- Revisione assetti istituzionali ed efficienza spesa pubblica
La prima richiesta è quella della modifica del Titolo V della Costituzione riportando in capo allo Stato la competenza, precedentemente trasferita alle Regioni, su materie di interesse generale quali semplificazioni, infrastrutture, energia, comunicazioni e commercio estero, con contemporanea abolizione delle Province e innalzamento della soglia dimensionale dei Comuni.
La seconda, e altrettanto importante richiesta, è quella della revisione della spesa pubblica attraverso l’abbandono del criterio dei tagli lineari e lo svolgimento di un’analisi selettiva che riduca i costi impropri e definisca “costi standard” da adottare rapidamente come metodo di finanziamento delle amministrazioni pubbliche.

lunedì 9 settembre 2013

Per Berlusconi quasi una scelta obbligata

A Berlusconi converrebbe combattere la sua battaglia da privato cittadino esortando i suoi a badare più alla governabilità dell’Italia che alla volontà di rivalsa. Un partito con un unico insostituibile leader somiglia più a una setta che a un partito.

di Achille Nobiloni

Da qualsiasi punto di vista la si guardi questa storia di Berlusconi sembrerebbe dover avere un unico sbocco possibile per il bene dell’Italia e dello stesso Berlusconi e questo sbocco dovrebbe essere un passo indietro da parte dell’interessato.
Da un lato ci sono tre gradi di giudizio che affermano una verità che per alcuni è sostanziale e per altri solo processuale; dall’altro c’è la tesi del complotto secondo la quale questa verità, … solo processuale, sarebbe lo strumento per far fuori il protagonista principale della vita politica italiana degli ultimi venti anni; in mezzo ci sono la questione interpretativa sul se, come e quando sia o non sia lecito usare questo strumento e il diritto alla difesa (a oltranza) dell’imputato/condannato.
In un Paese normale basta l’ombra del sospetto per spingere alle dimissioni, in Italia tre gradi di giudizio possono trasformare il condannato in un martire. Il tutto naturalmente a discapito della certezza del diritto e soprattutto della fiducia nelle Istituzioni.
Del resto con i ribaltoni cui siamo stati abituati nel corso degli anni con numerosi processi “bis”, “ter” e “quater” e decine di sentenze cancellate si capisce anche l’ostinazione di Berlusconi nel voler proclamare a tutti i costi la propria innocenza e nel voler evitare o ridurre il più possibile la pena comminatagli. Ma se è vero che qui la questione non è più solo personale ma anche politico/istituzionale allora i due piani vanno ben distinti e chi pretende di avere più ragione dovrebbe anche essere disposto a usarla.
Può la difesa del singolo avere implicazioni sulla vita di un governo? Può un eventuale provvedimento di grazia servire a garantire “l’agibilità politica”? Può un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo avere lo scopo di un salvataggio politico?
  
Una volta si diceva: “Rassegno le dimissioni per avere la libertà di potermi difendere meglio” e forse è proprio questa la linea che converrebbe di più a Berlusconi. Del resto se in venti anni da politico non è riuscito a dimostrare e sconfiggere il complotto della Magistratura che nel tempo ha sempre lamentato forse la cosa potrebbe riuscirgli meglio da privato cittadino, lontano dalle presunte ritorsioni che le sue cariche politiche gli procuravano!
Inoltre appare singolare che un governo più o meno d’emergenza come l’attuale funzioni e vada più o meno bene se Berlusconi conserva il suo seggio di senatore e debba invece essere destinato a cadere se Berlusconi non siede più in Parlamento. Allo stesso modo un eventuale provvedimento di grazia, o altra soluzione o “garanzia”, può servire a evitare il carcere (o gli arresti domiciliari o i servizi sociali) a chi è stato quattro volte presidente del Consiglio per un totale di nove anni ma non è detto che debba servire a consentirgli di continuare a fare tutto quello che faceva prima come se nulla fosse stato. Così un ricorso alla Corte europea dei diritti “dell’uomo”, non “dei parlamentari”, potrà stabilire se a Silvio Berlusconi siano stati garantiti i suoi diritti di comune mortale e non essere interpretato e vissuto come una denuncia di lesa maestà.
Sbaglierò ma per tutti questi motivi sono convinto che a Berlusconi converrebbe assai di più condurre la propria battaglia da privato cittadino, abbassando i toni della polemica, portando a casa un qualche beneficio di quelli che ormai anche il PD sembra disponibile a concedergli ed esortando i suoi a badare più alla governabilità dell’Italia che alla volontà di rivalsa.
Anche il Pdl o la rinascente Forza Italia non possono infatti continuare a presentarsi con Silvio Berlusconi come unico insostituibile leader: un partito con un unico insostituibile leader somiglia più a una setta che a un partito.

venerdì 6 settembre 2013

Pensioni, pensioni d'oro, informazione e social network ...

Quand’è che le pensioni cominciano a essere “d’oro”? E’ sufficiente agire su di esse per riequilibrare la differenza fra le più basse e le più alte? Sono giustificate le affermazioni del ministro Giovannini?


di Achille Nobiloni

In Italia i pensionati sono 16 milioni e mezzo. Di questi, quasi 11 milioni 300 mila sono quelli che percepiscono una pensione media di 780 euro lordi al mese; altri 3 milioni 800 mila ne prendono 1.830 e un altro milione  e 80 mila ne prende poco meno di 2.900.
Secondo la tabella qui sotto, elaborata riaggregando differentemente i dati diffusi di recente dall’INPS e pubblicati dal Sole24Ore il 28 agosto scorso, il primo scaglione di pensioni (fino a 1.440 euro lordi al mese) copre oltre il 68% dei pensionati; il secondo (da 1.440 a 2.400 euro) ne copre il 23% e il terzo (da 2.400 a 3.850 euro) copre il 6,5%.
Insomma le pensioni fino a 3.850 euro lordi al mese coprono quasi il 98% dei pensionati italiani.
A questo punto resta da mettersi d’accordo su quali siano le cosiddette “pensioni d’oro”. In ogni caso ha ragione da vendere il ministro Giovannini quando dice che per ritoccare adeguatamente le pensioni più basse non basta agire su quelle “d’oro” ma bisognerebbe toccare anche quelle d’argento e quelle di bronzo e forse non basterebbe nemmeno. La tabella qui sotto lo dimostra. 

Le pensioni in Italia nel 2012


Scaglioni pensioni N. pensionati % su tot. Importo tot. % su tot. Pens. media  rapp. su media







fino a 1.443 11.290.991 68,2930 114.635.325.207 42,3838 781 0,62
da 1.443 a 2.405 3.813.942 23,0685 90.724.593.070 33,5434 1.830 1,45
fino a 2.405 15.104.933 91,3615 205.359.918.277 75,9272 1.046 0,83
da 2.405 a 3.848 1.081.835 6,5434 40.606.936.445 15,0135 2.887 2,29
da 3.848 a 5.291 210.085 1,2707 12.204.250.377 4,5122 4.469 3,55
fino a 5.291 16.396.853 99,1756 258.171.105.099 95,4530 1.211 0,96
da 5.291 a 10.101 127.291 0,7699 10.755.632.732 3,9767 6.500 5,17
da 10.101 a 15.392 7.654 0,0463 1.175.558.614 0,4346 11.814 9,39
da 15.392 a 20.202 814 0,0049 181.540.697 0,0671 17.156 13,63
da 20.202 a 24.050 249 0,0015 70.703.883 0,0261 21.842 17,36
oltre 24.050 291 0,0018 114.942.323 0,0425 30.384 24,14
TOTALE 16.533.152 100,0000 270.469.483.348 100,0000 1.258 1,00

(Fonte: INPS; importi in euro)


Dicendolo alla maniera di Trilussa, la pensione media italiana è di 1.258 euro lordi al mese ma poi si va dalla pensione media del primo scaglione, pari appunto a 781 euro, a quella dell’ultimo scaglione, pari a 30.384 euro lordi mensili (gli scaglioni sono sempre quelli derivanti dall’aggregazione da me adottata nella tabella per rendere più leggibili i dati INPS).
Quali sono quindi le “pensioni d’oro”? Quelle sopra i 5.300 euro lordi al mese? Si tratta di 136.000 persone per poco più di 12 miliardi l’anno su un totale di 270,5 mentre quelli che superano i 10.100 euro lordi al mese sono solo 9.000 per un miliardo e mezzo di euro l’anno, sempre sullo stesso totale di 270,5.
Certo può fare impressione sapere che alcune persone incassano un assegno mensile pari a 24 volte la media nazionale: come dire che prendono in un mese quello che il pensionato medio italiano prende in due anni, ma sono solo 291 e non è detto che abbiano tutte goduto di indebiti privilegi. Non credo debba però fare impressione che vi siano poco meno di un milione 100 mila persone che percepiscono dai 2.400 ai 3.850 euro lordi, pari a 2,3 volte la pensione media nazionale, o 210.000 persone che prendono da 3.850 ai 5.300 euro mensili lordi pari a 3,5 volte il valore medio nazionale: da un lato non sembrano certo cifre da far “navigare nell’oro” e dall’altro rappresentano situazioni oggettive di stipendi e contribuzioni diverse perpetuatesi negli anni non senza adeguate ragioni. In nessun caso poi, e qui torniamo alle affermazioni del ministro Giovannini, tali cifre sarebbero in grado di coprire un adeguato aumento delle pensioni più basse!
Purtroppo i dati forniti dall’INPS e pubblicati dal Sole24Ore non forniscono una adeguata disaggregazione delle pensioni fino a 1.440 euro, che assorbono otre 114 miliardi l’anno e coprono 11,3 milioni di pensionati, e così in questa sede non sono in grado di dire quante siano le pensioni sotto i 1.000 euro al mese e quanto al di sotto di questa soglia, per raggiungere la quale è verosimile che occorrano almeno tra i 30 e i 40 miliardi di euro l’anno (per l’esattezza 32 se si volesse far sì che tutte queste pensioni raggiungessero il valore “medio” di 1.000 euro, ma questo comporterebbe “in teoria” anche l’impiego di una quota di quelle che all’interno dello scaglione già superano questa soglia e che quindi verrebbero riallineate verso il basso il che, ovviamente, non è possibile!).
Molto evidente appare invece lo squilibrio tra le pensioni del primo scaglione e quelle del secondo. Le prime (11,3 milioni per 114 miliardi) raggiungono in media il 62% del valore della pensione media nazionale; le seconde (quelle che vanno da 1.440 a 2.400 euro) raggiungono invece il 145% della media nazionale e interessano 3,8 milioni di pensionati per oltre 90 miliardi l’anno, a ulteriore e definitiva conferma delle perplessità del ministro. Insomma non saranno certo le cosiddette “pensioni d’oro” a poter finanziare da sole l’aumento delle pensioni più basse.
Infine è utile sottolineare che in un clima di crisi e forti tensioni sociali come l’attuale, quello delle “pensioni d’oro” è un tema delicato, soggetto a pericolose reazioni emotive spesso innescate da informazioni confuse, facili a essere amplificate e ulteriormente distorte sui social netwok. E’ stato sufficiente l’altra sera un “botta e risposta” preelettorale tra Daniele Capezzone e Stefano Fassina in casa Porro su VirusRai2 perché su twitter apparissero messaggi come quelli qui sotto.


giovedì 5 settembre 2013

Il balletto dei numeri sulle "pensioni d'oro"


di Achille Nobiloni

Pensioni “d’oro”, d’argento, di bronzo, di …, vabbè fermiamoci qui!
Le uniche cose certe a proposito delle pensioni sono che sarà sempre più lungo, difficile e faticoso averle, che saranno sempre più basse e che il loro adeguamento al carovita sarà sempre più contenuto o forse addirittura nullo.
Quando però se ne parla, o se ne scrive sui social network come poco fa dopo gli interventi di Capezzone e Fassina a VirusRai2 la trasmissione televisiva di Nicola Porro, lo si fa un po’ a casaccio, senza un’adeguata cognizione di causa, e può succedere, come in effetti si è letto sul web, che le pensioni da 90.000 euro l’anno diventino da 90.000 euro al mese e si sostenga che a percepirle sarebbero addirittura 30.000 persone con un costo complessivo di 34 miliardi l’anno!!
Ovvio che in un clima pesante come l’attuale ogni privilegio ingiustificato risulti particolarmente odioso e suscettibile quindi di creare notevoli tensioni sociali. Per questo motivo, prima ancora di andare a discutere di quand’è che una pensione possa definirsi “d’oro” o d’argento, sarebbe importante potersi confrontare tutti sugli stessi dati di partenza. Partendo da questa circostanza oggettiva e indispensabile ognuno potrebbe poi dire la sua sulle pensioni “d’oro” o “d’argento”, su quanto potrebbe essere giusto tagliare le prime o le seconde e dire in che modo ottenere un’equa diversificazione degli assegni.
Eh si perché se durante l’attività lavorativa si convive con stipendi molto diversi fra loro sarebbe poi difficile da spiegare se alla fine le pensioni dovessero risultare tutte uguali e livellate verso il basso.
Proprio per ragionare su un dato di partenza oggettivo e condiviso, ecco di seguito i dati sulle pensioni lorde mensili forniti dall’INPS e pubblicati dal Sole24Ore il 28 agosto scorso.
Dalla tabella risulta che solo 550 persone hanno una pensione lorda di oltre 20.000 euro al mese, con un’incidenza complessiva di 186 milioni di euro su un totale annuo di 270 miliardi e mezzo, 246 dei quali impiegati per pagare pensioni lorde fino a 3.850 euro al mese a 16 milioni186 mila pensionati su un totale di 16 milioni 533 mila.
E così alla fine può essere anche utile scoprire che i 34 miliardi citati all’inizio non servivano per pagare pensioni da 90.000 euro al mese a 30.000 persone, come letto sui social networks dopo il duello Capezzone-Fassina in casa Porro a VirusRai2, ma servono invece per pagare pensioni comprese fra i 3.850 e i 20.000 euro lordi al mese a un totale di 347.000 persone.

Fonte: Il Sole24Ore del 28 agosto 2013