lunedì 9 settembre 2013

Per Berlusconi quasi una scelta obbligata

A Berlusconi converrebbe combattere la sua battaglia da privato cittadino esortando i suoi a badare più alla governabilità dell’Italia che alla volontà di rivalsa. Un partito con un unico insostituibile leader somiglia più a una setta che a un partito.

di Achille Nobiloni

Da qualsiasi punto di vista la si guardi questa storia di Berlusconi sembrerebbe dover avere un unico sbocco possibile per il bene dell’Italia e dello stesso Berlusconi e questo sbocco dovrebbe essere un passo indietro da parte dell’interessato.
Da un lato ci sono tre gradi di giudizio che affermano una verità che per alcuni è sostanziale e per altri solo processuale; dall’altro c’è la tesi del complotto secondo la quale questa verità, … solo processuale, sarebbe lo strumento per far fuori il protagonista principale della vita politica italiana degli ultimi venti anni; in mezzo ci sono la questione interpretativa sul se, come e quando sia o non sia lecito usare questo strumento e il diritto alla difesa (a oltranza) dell’imputato/condannato.
In un Paese normale basta l’ombra del sospetto per spingere alle dimissioni, in Italia tre gradi di giudizio possono trasformare il condannato in un martire. Il tutto naturalmente a discapito della certezza del diritto e soprattutto della fiducia nelle Istituzioni.
Del resto con i ribaltoni cui siamo stati abituati nel corso degli anni con numerosi processi “bis”, “ter” e “quater” e decine di sentenze cancellate si capisce anche l’ostinazione di Berlusconi nel voler proclamare a tutti i costi la propria innocenza e nel voler evitare o ridurre il più possibile la pena comminatagli. Ma se è vero che qui la questione non è più solo personale ma anche politico/istituzionale allora i due piani vanno ben distinti e chi pretende di avere più ragione dovrebbe anche essere disposto a usarla.
Può la difesa del singolo avere implicazioni sulla vita di un governo? Può un eventuale provvedimento di grazia servire a garantire “l’agibilità politica”? Può un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo avere lo scopo di un salvataggio politico?
  
Una volta si diceva: “Rassegno le dimissioni per avere la libertà di potermi difendere meglio” e forse è proprio questa la linea che converrebbe di più a Berlusconi. Del resto se in venti anni da politico non è riuscito a dimostrare e sconfiggere il complotto della Magistratura che nel tempo ha sempre lamentato forse la cosa potrebbe riuscirgli meglio da privato cittadino, lontano dalle presunte ritorsioni che le sue cariche politiche gli procuravano!
Inoltre appare singolare che un governo più o meno d’emergenza come l’attuale funzioni e vada più o meno bene se Berlusconi conserva il suo seggio di senatore e debba invece essere destinato a cadere se Berlusconi non siede più in Parlamento. Allo stesso modo un eventuale provvedimento di grazia, o altra soluzione o “garanzia”, può servire a evitare il carcere (o gli arresti domiciliari o i servizi sociali) a chi è stato quattro volte presidente del Consiglio per un totale di nove anni ma non è detto che debba servire a consentirgli di continuare a fare tutto quello che faceva prima come se nulla fosse stato. Così un ricorso alla Corte europea dei diritti “dell’uomo”, non “dei parlamentari”, potrà stabilire se a Silvio Berlusconi siano stati garantiti i suoi diritti di comune mortale e non essere interpretato e vissuto come una denuncia di lesa maestà.
Sbaglierò ma per tutti questi motivi sono convinto che a Berlusconi converrebbe assai di più condurre la propria battaglia da privato cittadino, abbassando i toni della polemica, portando a casa un qualche beneficio di quelli che ormai anche il PD sembra disponibile a concedergli ed esortando i suoi a badare più alla governabilità dell’Italia che alla volontà di rivalsa.
Anche il Pdl o la rinascente Forza Italia non possono infatti continuare a presentarsi con Silvio Berlusconi come unico insostituibile leader: un partito con un unico insostituibile leader somiglia più a una setta che a un partito.

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