domenica 1 settembre 2013

Basta imposte a caso: occorre una strategia!!

di
Achille Nobiloni

Imposizione diretta, imposizione indiretta, tasse, imposte, accise, Iva, Imu, Irpef, Irpeg, Irap, Tares, bolli, diritti e balzelli vari. Il sistema fiscale italiano è così complesso che a volte arriva a mordersi la coda raddoppiando e sovrapponendo i tributi fino a farli gravare due volte sullo stesso bene.
E’ quel che accade per esempio sui carburanti per i quali si paga l’Iva non solo sul prodotto ma anche sull’accisa (ex Imposta di Fabbricazione) di cui lo stesso prodotto è gravato (insomma un’imposta su un’altra imposta), arrivando a un carico fiscale di circa il 60% sul prezzo finale (in passato è arrivato a superare il 70%!).
Si paga sul reddito da lavoro, sulle rendite finanziare, sulle proprietà immobiliari, sul conto in banca, sulle compravendite di case e terreni, sui certificati e documenti che ci rilascia la pubblica amministrazione e su tutto quel che si compra, siano essi beni di prima necessità o beni voluttuari.
Naturalmente l’imposta sul reddito si paga secondo scaglioni progressivi, ci sono aliquote Iva differenziate a seconda dei beni, le imposte sulle bollette per le utenze della prima casa sono più basse e quindi un certo sforzo in cerca dell’equità viene pur fatto.
Il problema è che la fame di soldi dell’apparato statale è così tanta che ormai si tassa tutto più e più volte. Basta guardare una normale busta paga e oltre al normale prelievo Irpef vi si trovano anche l’addizionale regionale e quella comunale.
Inoltre si paga in anticipo: nessuno ne parla ma considerando il primo e il secondo acconto Irpef, alla fine di ogni anno abbiamo già pagato quasi tutte le imposte sul reddito per l’intero anno successivo. Non sono un economista né conosco i numeri esatti ma da profano direi che è come se lo Stato avesse preso in prestito dai cittadini qualche altro centinaio di miliardi di euro (300? 400? comunque quasi tutto il gettito Irpef di un intero anno) che, sempre se non dico una scemenza, potrebbe considerarsi da aggiungere al già enorme debito pubblico (se invece il gettito degli acconti Irpef vi è già conteggiato mi rimangio l’osservazione e vi invito a non tenerne conto).
Dicevo che la fame di soldi è così forte che ormai si tassa tutto ma soprattutto si tassa disordinatamente, alla spicciolata, come e quando serve o meglio come e quando lo richiede la necessità del momento. Negli anni ’60 furono tassate le auto neanche troppo di lusso: ricordo che nel 1963 una Peugeot 404, cilindrata 1.600 c.c., prezzo 1.530.000 lire, pagava una “tassa straordinaria” (tanto per non sbagliare) di oltre 100.000 lire! Poi una volta introdotta l’Iva vi fu un periodo in cui le auto oltre i 2.000 c.c. furono assoggettate all’aliquota del 35% e altrettanto avvenne per le imbarcazioni oltre un certo metraggio. Ci son state le stagioni delle “una tantum”, dei condoni edilizi e degli scudi fiscali, tutti provvedimenti “straordinari” che straordinari non sono stati né per natura né per i risultati ottenuti.

Più recente invece la trovata dei “contributi di solidarietà” ipotizzati a carico dei “super ricchi”. Ma chi sono i super ricchi italiani? Le persone che hanno un reddito di più di 100.000 euro l’anno pari, credo, a meno dell’1% del totale dei contribuenti. E già perché oggi in Italia ci vuol poco a essere super ricco o ultraricco: con 100.000 euro l’anno e due o tre appartamenti sei già un riccone e con più di 200.000 euro l’anno sei addirittura un nababbo e infatti, sempre se non do numeri a vanvera, mi sembra di aver letto da qualche parte che quelli che dichiarano oltre questo ammontare sono solo lo 0,2% dei contribuenti. Del resto finché ci saranno gioiellieri e altri commercianti e imprenditori che continuano a denunciare redditi inferiori a quelli dei loro dipendenti sarà difficile cambiare questa situazione.
Ma qui si entra nel tema dell’evasione fiscale e io invece voglio parlare di imposizione. Per dire cosa? Per dire che non se ne può più dell’imposizione alla spicciolata fatta come capita, quando capita o quando fa comodo perché rappresenta la soluzione (soluzione si fa per dire) più semplice e più rapida.
E quando dico che non se ne può più non mi riferisco tanto e solo al peso complessivo delle imposte (che quello, ormai si sa, è alto e alto resterà per molti anni ancora) quanto all’approssimazione e al dilettantismo con cui esse vengono istituite, applicate e fatte pagare nella totale assenza di una strategia complessiva che miri a una redistribuzione più equa del carico e all’utilizzo della leva fiscale per contribuire al rilancio dell’economia, anziché solo per tappare i buchi.
Sarò superficiale, qualunquista o anche populista, certamente sono ignorante in materia e non solo, ma credo che sia arrivata l’ora di mettersi a tavolino e capire che tipo di Fisco ci vogliamo dare e con quali obiettivi: rilancio dei consumi? Sostegno all’industria? Alle famiglie? Alla ricerca? All’occupazione? Agli investimenti nazionali o esteri?
Insomma occorrerebbe prendere un bel foglio bianco e come la brava massaia che stila il suo bilancio familiare, provare a ipotizzare se e cosa tassare, con quali modalità e in che misura: il reddito? Il capitale? Le rendite immobiliari? Quelle finanziare? Il lavoro? La produzione? I consumi? E magari provare anche a ipotizzare i risultati di ogni singolo tipo di tassazione e provare a studiare come gli uni si combinino con gli altri e quali siano i loro effetti, singoli e/o combinati, sul raggiungimento degli obiettivi prefissati.
E si perché un Governo lungimirante, che abbia come scopo finale il benessere del Paese e dei cittadini, degli obiettivi qualitativi deve pur averli e questi obiettivi qualitativi devono far parte di una strategia  di lungo periodo che nulla può avere a che fare con i singoli “buchi” del momento quali ad esempio quelli relativi agli esodati, alla cassa integrazione o alle missioni di pace in giro per il mondo.
E poi non si può parlare di imposte e tasse se non si parla anche di lotta all’evasione fiscale e di razionalizzazione della spesa pubblica. Nel primo caso si tratterebbe di pagare meno ma pagare tutti; nel secondo si tratterebbe di capire perché se io costruisco un muretto nel mio giardino mi costa mille euro ma se lo costruisce un’amministrazione comunale o provinciale in un parco pubblico gliene costa cinquemila! Qui però il discorso si allarga ad altri temi altrettanto complessi e mi rendo conto che non si può avere tutto in un colpo solo.
Sarebbe già tanto se il Governo riuscisse a smettere di azionare la leva fiscale come si apre il rubinetto di una fontanella quando si è accaldati e si ha sete: alla fine l’acqua finisce e il caldo e la sete restano; meglio provare a usare le risorse disponibili per cercare di creare un ambiente più fresco e ombreggiato e usare l’acqua per annaffiare le piante che contribuiscono a mantenerlo tale. Certo per far questo ci vogliono un progettino e un minimo di strategia … invece di correre ogni volta ad aprire il rubinetto!

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